Ho sognato che avevo disegnato dei tasti di pianoforte sul tavolo di cucina. Io ci suonavo sopra, erano muti. I vicini venivano ad ascoltare.

– Tomas Tranströmer

A Carla Quirina che mi aiuta ad ascoltare.

Da quando insegno matematica a ragazzi e ragazze in età adolescenziale ho imparato a convivere con il dubbio. I versi di Tranströmer qui citati rappresentano in modo preciso il mio sentimento di insegnante; quando penso alla matematica posso distintamente udire una musica, a volte strutturata, a volte spontanea, ma è una musica silenziosa, bisogna imparare prima di tutto a sentirla, poi ad ascoltarla, infine a riprodurla. Ritengo che questa sia la sostanza del mio mestiere, separare le note dal rumore.

Ho deciso di mettere in forma scritta gli assunti, espliciti ed impliciti, della mia didattica; per i miei studenti e le mie studentesse, per le loro famiglie, per me. Questo manifesto, raccolta di intenti più che di pratiche, mi aiuta a fissare alcuni punti per me importanti, frutto di molte ore passate tra dubbi, ripensamenti, paure, convinzioni. Ovviamente non presenta soluzioni o ricette, sottolinea semmai un problema, reale o immaginato; propone una riflessione. Inoltre non vi è in questo documento alcuna pretesa di completezza, originalità, efficacia o pertinenza. Non vi è completezza in quanto è un lavoro in corso d’opera che forse non finirà mai di richiedere continue revisioni e ripensamenti. Non vi è originalità in quanto molte delle cose qui scritte sono sicuramente pratica comune di tanti colleghi e tante colleghe decisamente più capaci di me. Non vi è efficacia in quanto tutto il mio ripensare il mestiere di insegnante si riflette in una didattica che per ora ha un esito incerto. Non vi è pertinenza in quanto molte delle idee che esprimo in questo manifesto non sono specifiche della matematica, potrebbero essere declinabili in altre materie.

Parlo qui di matematica nella mia esperienza di docente di scuola secondaria di secondo grado; non più elementare, non il “saper far di conto”, la matematica delle superiori non è necessaria alla maggior parte dei futuri cittadini e delle future cittadine. Se la si insegna, con passione, è perché passi il semplice messaggio che nella vita si possono fare anche cose non utili. La bellezza, in fondo, è una forma di necessità

Il manifesto si divide in sette punti espressi in modo incompleto e forzatamente sintetico da una parola. Ciascun punto viene poi specificato con alcuni dettagli nel testo.

Complessità

Dire che la matematica è terreno difficile è dire cosa nota e scontata. La complessità è di forma, con un linguaggio codificato, arduo e non sempre utilizzato o capito come dovrebbe essere, e di sostanza, con argomenti astratti, raramente intuitivi, spesso presentati in forma apodittica e senza alcuna giustificazione. Di fronte a questo vasto territorio ogni commento come “è banale”, “si vede”, “non è possibile che non lo capiate”, “questo è un errore gravissimo, nemmeno alle elementari” allontana l’autostima di ragazzi e ragazze e di conseguenza la propensione alla curiosità. Ci vuole tempo per affrontare le cose, tempo da dedicare ai dubbi, alle paure, ai non so fare. Non si può agganciare la didattica a quegli studenti e a quelle studentesse con un alto grado di motivazione e che sono quindi disponibili ad un livello di fatica sopra la norma. L’efficacia dell’insegnamento della matematica si misura con la capacità, o almeno la volontà, di far attraversare la tempesta a tutti e tutte, di coinvolgere, lasciare un segno che sia permanente. L’insegnante non deve essere un muro da scalare solo da chi ne ha la forza, ma un ponte che agevoli il passaggio di tutti, ognuno secondo propria propensione. Non è la banalità che tutti debbano essere promossi, è la necessità che nessuno sia lasciato da solo in un terreno tanto difficile. Il prezzo altrimenti è altissimo, la rassegnazione sociale (quando non diventa giustificazione o vanto) del “io di matematica non capivo nulla”, bandiera di molti adulti.

Motivazione

Senza motivazione non vi è possibilità di affrontare alcun percorso, figuriamoci uno difficile. Ci sono di mezzo speranze, aspettative, progetti personali, interessi. E una rete sociale di contatti (famiglia, amici, società) che spingono nella direzione del successo. Per un percorso matematico serio, però, la motivazione non può venire da una gratificazione sociale in termini di successo; studiare per il voto alto può funzionare solo per pochissimi casi, i più si perdono ai primi voti bassi. Bisogna che la motivazione venga costruita dal docente, la si deve cercare nella materia, per la materia, non al di fuori di essa. Si devono cercare insieme sprazzi di bellezza, interesse culturale, lo stupore di fronte ad un panorama pressoché infinito. Si deve smettere soprattutto di considerare la matematica come una materia prettamente tecnica, la rincorsa verso una abilità. Un lavoro faticoso, necessario ancor di più di fronte a ragazzi e ragazze disinteressati. L’allontanamento da una disciplina difficile dove spesso la misura delle proprie attitudini si limita ad un voto è quasi scontato in età adolescenziale; se l’insegnamento si limita alla tecnica, non mostra spiragli di fantasia e di bellezza, la partita è persa in partenza per molti e molte. Spesso si fa appello al senso del dovere, “devi studiare anche se non ti piace”; ma il senso del dovere è un concetto astratto in età adolescenziale, lo si deve costruire, ci vuole anche in questo caso tempo e fatica (da parte di tutti). Un compito anche della scuola, necessario sicuramente, ma che richiede una forte motivazione. Si corre altrimenti il rischio che diventi obbedienza (“fai così se no vieni bocciato”) che, a differenza del senso del dovere, non è mai un valore, anzi, spesso è un ostacolo alla libertà e all’educazione. La persona obbediente tenderà a smettere di fare qualsiasi cosa in assenza di conseguenze negative, la persona con senso del dovere farà le cose perché è giusto farle, indipendentemente dalle conseguenze. Per sviluppare tutto questo dobbiamo dare qualcosa, un appiglio a cui aggrapparsi, non basta dire “studia questa cosa perché un domani ti sarà utile”. L’orizzonte costituito da quel “un domani” è un orizzonte lontano anni luce nella mente di un adolescente. Bisogna continuamente, costantemente, faticosamente motivare. Non obbligare.

Pazienza

Da parte dі chi insegna, da parte di chi apprende. I risultati non possono essere immediati, la comprensione richiede tempo, quello che a noi sembra immediato ad un ragazzo o ad una ragazza può sembrare privo di senso. La pazienza richiede tempi lunghi, difficilmente si sposa con programmi standardizzati, con scadenze uguali per tutti, con livelli che non tengano conto della storia personale di ognuno. Spesso imputiamo le difficoltà alla poca voglia od al poco impegno dimenticando che l’interesse si costruisce nel tempo, con pazienza. Se una spiegazione non viene compresa deve esserci una selva di mani alzate, deve esserci il sorriso dell’insegnante, la possibilità di rispiegare, cambiando punto di attacco se necessario, cercando altre strade. Se una verifica va male la si deve analizzare, capire, rifare se necessario. Anche più volte. Corriamo dietro a programmi (che non ci sono più), indicazioni, libri di testo, test standardizzati, esami di fine ciclo. Tutto questo lascia poco tempo per esercitare la pazienza di aspettare chi ha il passo diverso dal nostro. Invece di lamentarci che i nostri ѕtudenti e le nostre studentesse non studiano abbastanza, parliamo con loro per capire perché.

Affezione

Non si può lasciare il segno (insegnare) senza provare vicinanza, rispetto, affetto. Anche in questo caso ci vuole tempo, bisogna conoscersi, bisogna dare peso alle persone e non ai numeri. Ogni singolo giorno, ogni singola ora in classe. L’insegnante deve preoccuparsi dei propri studenti e delle proprie studentesse, deve voler loro bene, deve tenerci. Non può essere indifferente, ci vuole affezione. Ragazzi e ragazze possono avvicinarsi solo se sentono di contare davvero qualcosa, altrimenti ricadono nel ruolo di fruitori di un servizio, si sentono uno dei tanti elementi (tra i piu’ fastidiosi) di un lavoro e non il punto centrale del mestiere di insegnante. Anche loro devono affezionarsi a chi insegna per avvicinarsi alla materia. Non significa diventare amici, ruolo e differenza di età non lo consentono: significa che per insegnare una materia così difficile ci vuole uno sforzo che solo l’affezione a volte può giustificare. L’imparzialità non ha nulla a che vedere con l’indifferenza, prima risolveremo questo malinteso e meglio sarà.

Fiducia

Studenti e studentesse devono avere fiducia in chi cerca di parlare loro di matematica, fiducia nel sapere che non sono soli, che le difficoltà si possono affrontare, che si può anche sbagliare. Chi insegna matematica deve essere punto di riferimento, deve ascoltare tutte le domande, farsi carico dei problemi, evitare di sottostimare, sminuire. Frasi come “non sei portato” o “è banale, pensaci per conto tuo” sono abissi da cui non si torna indietro. L’insegnante deve camminare sullo stesso terreno dei suoi studenti e delle sue studentesse, può sbagliare ed ammettere di aver sbagliato, può pronunciare la frase “non lo so” e poi documentarsi, può mantenere la parola data, può fare di tutto per non lasciare nulla di intentato. Deve, in altre parole, essere degno o degna di fiducia.

Valutazione

Misurare è facilissimo, valutare meno. Non dobbiamo o possiamo fermarci alla misura, la valutazione richiede un’assunzione di responsabilità ed una libertà che devono andare molto oltre la verifica. L’imparzialità, l’obiettività, la standardizzazione dei voti vanno nella direzione di rendere tutto il processo valutativo automatico; può andar bene per i diligenti, ma spesso diventa un tritacarne senza ritorno. Non si tratta di inventare voti o di ridurre tutto ad un fatto di simpatia, si tratta di mettere in atto la propria professionalità e rivendicare, insieme alla libertà di insegnamento, anche la libertà di valutazione. Laddove c’è fiducia nessuno si sentirà prevaricato, laddove c’è dialogo e condivisione di intenti non può che esserci una valutazione serena che sia, prima di tutto, propedeutica all’insegnamento. I compiti, le interrogazioni, i voti non sono il fine della scuola, sono un mezzo per migliorare il più possibile il dialogo educativo. E siccome il dialogo è fatto a più voci, se no è un monologo, le misurazioni sono da distribuire e condividere tra chi insegna e chi impara. Altra cosa è la valutazione, che tiene conto di molti fattori, anche non misurabili. Togliamo i voti dal loro attuale piedistallo, rendiamoli utili e non determinanti, costruiamo una didattica centrata sulla conoscenza e non sulla misurazione, riportiamo le ansie di ragazzi e ragazze (e delle loro famiglie) ad un livello tollerabile e centrate su temi importanti, non su un numero in una casella a fine anno. Questo non significa non dare importanza ai voti, il contrario. Il mio fine ultimo non è far si che i miei studenti e le mie studentesse prendano dieci, il mio fine ultimo è trasmettere loro il gusto di fare matematica. Se riesco in questo i voti arriveranno da soli.

Poesia

La matematica serve a costruire ponti e a molte altre cose, ma non è per questo che la insegnamo, non per questo ne proponiamo lo studio. Certo, le applicazioni della matematica possono essere importanti, motivanti, a volte anche belle, ma il vero motivo che dovrebbe spingerci da educatori è un altro: la sua bellezza. Molti studenti e molte studentesse rimangono indifferenti, se non ostili, perché non mostriamo loro l’aspetto umano, poetico, estetico della matematica. Apro un libro a caso e trovo esercizi su esercizi di puro calcolo, adatti sicuramente a formare la tecnica (necessaria), ma avvilenti da un punto di vista umano quando costituiscono l’unico orizzonte mostrato. Dobbiamo portare quotidianamente lo stupore nell’insegnamento della matematica, la meraviglia ed il senso di straordinaria prospettiva che l’edificio matematico offre. Vengono in mente le parole di Borges sulla musica, “misteriosa forma del tempo”. In mezzo a tutti i calcoli, a tutte le “competenze” della scuola moderna, ai tecnicismi, alle abilità da cittadino modello, in mezzo a tutto l’arido deserto che spesso allontana le giovani menti nel momento in cui più sarebbero avvicinabili, in mezzo a tutto questo proviamo a far ascoltare la melodia muta, inutile e, per questo, meravigliosa della matematica.